Sinistro senza urto: non c’è presunzione di pari responsabilità

In materia di sinistri stradali, l’assenza dello scontro tra i veicoli convolti esclude la presunzione di corresponsabilità. La giurisprudenza ha infatti stabilito che la presunzione di pari responsabilità nella causazione di un sinistro stradale, prevista dall’art. 2054, comma secondo, cod. civ., è applicabile, di regola, soltanto quando tra i veicoli coinvolti vi sia stato un urto.

In assenza di una collisione diretta tra veicoli, è consentito applicare estensivamente la suddetta norma solo al fine di graduare il concorso di colpa.

Peraltro, la ricostruzione delle modalità del fatto, la valutazione della condotta dei soggetti coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del nesso di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico.

Secondo la Corte, nel caso di specie, la caduta della moto poteva essere stata causata anche da un semplice sbandamento.

Cass Civile, Sez. 6, Ord. n. 19282 del 15/06/2022

ORDINANZA

sul ricorso 11268-2020 proposto da:

DFG

contro

H ASSICURAZIONI S.P.A.

nonché contro

MF e MM

FATTI DI CAUSA

1. DFG convenne in giudizio, davanti al Giudice di pace di Teramo, MF e MM e la H Assicurazioni s.p.a., rispettivamente in qualità di proprietario, conducente e assicuratore, chiedendo che fossero condannati al risarcimento dei danni da lui subiti in occasione di un sinistro stradale verificatosi in una strada cittadina di Teramo. Espose, a sostegno della domanda, che, mentre era alla guida del suo motociclo, l’autovettura condotta dalla MM, immettendosi in modo imprudente sulla carreggiata da lui percorsa, l’aveva costretto ad una manovra improvvisa per evitare l’impatto, a causa della quale egli aveva perso il controllo della moto finendo a terra. Si costituirono in giudizio tutti i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda. Il Giudice di pace, istruita la causa con prove per interrogatorio e per testi, rigettò la domanda e compensò le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente in via principale e dagli originari convenuti in via incidentale (in ordine alle spese), e il Tribunale di Teramo, con sentenza del 13 settembre 2019, ha respinto l’appello principale, ha accolto quello incidentale e, in riforma della decisione del Giudice di pace, ha condannato l’appellante principale al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, confermando quanto al resto la decisione; la sentenza ha poi condannato l’appellante principale al pagamento anche delle spese del giudizio di appello. 3. Contro la sentenza del Tribunale di Teramo ricorre DFG con atto affidato a due motivi. Resiste la H Assicurazioni s.p.a. con controricorso. MF e MM non hanno svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e il ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e degli artt. 2727, 2729 e 2054, secondo comma, del codice civile. Osserva il ricorrente, dopo aver riportato il contenuto delle censure proposte con l’atto di appello, che la sentenza impugnata avrebbe letto in modo arbitrario le risultanze di causa. In particolare, il Tribunale non avrebbe fatto corretta applicazione delle regole sulla prova presuntiva, dovendo il materiale probatorio a disposizione essere letto nel senso che il conducente del motociclo aveva perso il controllo a causa della manovra imprudente dell’autovettura. Doveva, quindi, essere riconosciuto l’apporto causale della MM nella determinazione dell’incidente. Il Tribunale, poi, avrebbe dovuto fare applicazione della presunzione di cui all’art. 2054, secondo comma, cit., pur in assenza di scontro tra i due mezzi.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2054, secondo comma, cod. civ. oltre ad omesso esame di un fatto decisivo. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe del tutto trascurato, nella ricostruzione del fatto, la dichiarazione resa dal c.t. di parte dei convenuti il quale avrebbe ammesso, in sede di c.t.u., che il conducente della vettura si era mosso senza accorgersi che da tergo stava sopraggiungendo la moto dell’attore.

3. I due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente per la stretta connessione tra loro esistente, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che in materia di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, la ricostruzione delle modalità del fatto generatore del danno, la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi sono coinvolti, l’accertamento e la graduazione della colpa, l’esistenza o l’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità se il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, 25 gennaio 2012, n. 1028, e l’ordinanza 5 giugno 2018, n. 14358).

3.2. Nella specie, il Tribunale ha premesso che, pacifico essendo che tra i due mezzi non vi era stato alcuno scontro, non poteva essere applicata la presunzione di pari responsabilità dell’art. 2054, secondo comma, cit.; ha quindi aggiunto che dalle deposizioni dei testimoni emergeva come la MM fosse intenta a effettuare una manovra da destra a sinistra e che il DFG era caduto a terra non appena aveva toccato i freni della moto. Mancando ogni elemento in ordine alla velocità dei mezzi coinvolti ed essendo stata immediata la caduta della moto, la stessa poteva essere stata causata anche da un semplice sbandamento. Né vi era prova della sussistenza di una qualche colpa a carico della MM, poiché nessuna violazione delle norme sulla sicurezza stradale era stata dimostrata. A fronte di tale ricostruzione il ricorrente, mentre ribadisce una serie di considerazioni in punto di fatto già ritenute non credibili dai due giudici di merito, insiste nel sostenere che la presunzione di pari responsabilità avrebbe dovuto essere ugualmente applicata; il che non è esatto, perché l’assenza dello scontro esclude tale possibilità e il precedente di questa Corte richiamato è impropriamente invocato. La giurisprudenza ha infatti stabilito che la presunzione di pari responsabilità nella causazione di un sinistro stradale, prevista dall’art. 2054, comma secondo, cod. civ., è applicabile, di regola, soltanto quando tra i veicoli coinvolti vi sia stato un urto. Tuttavia, anche quando manchi una collisione diretta tra veicoli, è consentito applicare estensivamente la suddetta norma al fine di graduare il concorso di colpa tra i vari corresponsabili, sempre che sia stato accertato in concreto il nesso di causalità tra la guida del veicolo non coinvolto e lo scontro (così la sentenza 9 marzo 2012, n. 3704, e le ordinanze 19 luglio 2018, n. 19197, e 12 febbraio 2021, n. 3764); ed è evidente che l’estensione ora richiamata non è applicabile nel caso di specie. Oltre a ciò, la Corte osserva che la dichiarazione resa dal c.t. di parte al c.t.u., peraltro considerata dal Tribunale, non ha alcuna valenza confessoria, per cui nessuna violazione di legge o vizio omissivo sussiste in relazione al secondo motivo. Quanto al resto, l’asserita violazione delle regole sulla prova presuntiva e le ulteriori considerazioni valutative tendono a riproporre il vizio di motivazione secondo una formulazione ormai non più vigente e, dietro l’apparenza della violazione di legge, sollecitano in effetti questa Corte ad un diverso e non consentito esame del merito.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.700, di cui curo 200 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2:002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 4 maggio 2022.

Cass Civile, Sez. 6, Ord. n. 19282 del 15/06/2022