Autonomia del processo civile rispetto a quello penale

RESPONSABILITA’ CIVILE – PROVA – AUTONOMIA DEL PROCESSO CIVILE RISPETTO A QUELLO PENALE – REGOLA DELLA PREPONDERANZA DELL’EVIDENZA O “DEL PIÙ PROBABILE CHE NON” –FATTISPECIE RELATIVA AL DISASTRO DI USTICA (Cass. Civ. – Sent. n. 10285 DEL 5 MAGGIO 2009)

Stante l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale anche in materia probatoria, mentre in quest’ultimo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel primo vige la diversa regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, con la conseguenza di dover porre a base della decisione sulla responsabilità civile la soluzione derivante dal criterio di probabilità prevalente, la quale riceva comparativamente il supporto logico maggiore sulla base degli elementi di prova. (Nella specie è stata ritenuta non correttamente motivata la decisione della Corte di Appello di Roma che, nel rigettare la richiesta risarcitoria avanzata dall’Aereolinee Itavia s.p.a. contro i Ministeri della Difesa, degli Interni e delle Infrastrutture, aveva acriticamente recepito le conclusioni del giudice penale circa l’impossibilità di attribuire il disastro aereo di Ustica, alternativamente, ad un’esplosione interna per la presenza di un ordigno, al cedimento strutturale dell’aeromobile oppure ad un’esplosione esterna dovuta al lancio di un missile, così omettendo un’autonoma valutazione delle prove secondo i diversi principi civilistici).

Suprema Corte di Cassazione, Sentenza n. 10285 del 5 maggio 2009

(Sezione Terza Civile, Presidente Salvatore Senese  e Relatore Antonio Segreto)

[N.B.: potrebbero esservi delle imprecisioni determinate dal procedimento di scansione]

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 15 aprile 1981 la s.p.a. Aerolinee

Itavia ha convenuto in giudizio i Ministeri della Difesa, dei

Trasporti e dellrInterno, chiedendone la condanna al risarcimento

dei danni derivatile dalla “sciagura aerea di Ustica del

27.6.198On, nella quale era andato distrutto il ~ ~ 9 / 1I 0TI GI, di

sua proprietà con la morte di 81 persone. Assumeva l’attrice che

tale evento, oltre a provocarle la perdita dell’aereo, era stato

la causa scatenante della crisi economica e finanziaria in cui era

caduta; che dagli accertamenti svolti dagli organi competenti

emergeva che l’origine della tragedia fu l’abbattimento del

velivolo da parte di un missile lanciato da altro aereo o,

eventualmente, la presenza di una bomba a bordo; che l’evento

doveva addebitarsi al comportamento omissivo delle amministrazioni

convenute, cui competeva (Ministero della Difesa e Ministero dei

Trasporti) il controllo, la vigilanza e la sicurezza delle aerovie

aperte al traffico, o l’attività di prevenzione dal terrorismo

(Ministero delli Interno) .

Resistevano le amministrazioni convenute.

Alliudienza del 18 marzo 1982, si costituiva la s.p.a. Aerolinee

Itavia in amministrazione straordinaria, facendo proprie le

domande formulate dall’attrice.

I1 Tribunale di Roma, con sentenza n. 37714/2003, depositata il

26.11.2003, condannava i Ministeri convenuti al pagamento della

somma di €. 108.071.773,64, oltre interessi legali dal 31.12.2000

e le spese legali per €. 943.740,OO.

 

Riteneva il tribunale che il DC 9 era stato abbattuto da un

missile lanciato da altro aereo viaggiante lungo la stessa rotta

dell’aereo Itavia, e condannava i convenuti al risarcimento del

danno, sul rilievo del mancato adempimento da parte dei convenuti

dell’obbligo di garantire la regolare circolazione aerea del DC 9

e di adottare misure idonee ad evitare che altri aerei

circolassero sulla rotta già assegnata, owero (se ciò non fosse

stato possibile) di non autorizzare il decollo del DC 9, owero

assegnare altra rotta.

La Corte di appello di Roma, adita dai convenuti Ministeri, con

sentenza depositata il 23.4.2007, in accoglimento dell’appello,

rigettava la domanda.

Riteneva la corte territoriale che erano opinabili le certezze

espresse dal tribunale sulle cause del sinistro; che, ove anche

fosse stato accertato che il sinistro si verificò per un missile

lanciato da aereo rimasto ignoto, bisognava individuare uno

specifico obbligo a carico dei Ministeri di impedire l’evento; che

in ogni caso occorreva anche provare che i Ministeri conoscessero

il comportamento commissivo dannoso dell’aereo nemico, mentre

nella fattispecie la colpevolezza dei Ministeri convenuti si

faceva discendere dal solo fatto di non aver garantito la

sicurezza del volo e di non aver adempiuto ai propri obblighi

istituzionali; che in ogni caso non era provato che una diversa

valutazione della situazione creatasi nell’aerovia del DC 9

avrebbe consentito di intervenire tempestivamente.

Awerso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la

s.p.a. Aerolinee Itavia, in amministrazione straordinaria.

Resistono con controricorso i Ministeri convenuti.

Motivi della decisione

l.Va, anzitutto, dichiarato inammissibile il ricorso nei confronti

del Ministero dellJInterno.

Questo fu convenuto in giudizio per l’ipotesi che l’abbattimento

dell’aereo fosse stato causato dall’esplosione di una bomba,

situata da terroristi all’interno dell’aereo. Questa ipotesi fu

esclusa dal primo giudice, che tuttavia, pur ritenendo che l’aereo

era stato abbattuto da un missile lanciato da un altro aereo, e,

quindi, pur avendo escluso la sussistenza della situazione

f attuale prospettata dall’attrice a fondamento della

responsabilità del Ministero dellfInterno, poi condannò in solido

i tre Ministeri al risarcimento del danno.

Nel giudizio di appello l’attrice appellata, pur richiedendo il

rigetto dell’appello, non richiese, sia pure ai sensi dell’art.

346 C.P.C., che fosse affermata la responsabilità del Ministero

delllInterno per mancata vigilanza e controllo nei confronti di un

terrorista che avrebbe posto la bomba sull’aereo.

Nello stesso ricorso per cassazione la ricorrente non censura

l’impugnata sentenza per non aver ricostruito il fatto illecito

come opera di terrorista, che avrebbe deposto l’esplosivo

all’interno del DC 9.

Ne consegue che le originarie deduzioni circa i fatti su cui

l’attrice fondava la responsabilità del Ministero dellrInterno,

non essendo state accolte dal primo giudice e non essendo state

riproposte in grado di appello, devono ritenersi abbandonate.

Non può, invece, la ricorrente in questo giudizio di cassazione

prospettare la responsabilità del Ministero delllInterno per i

mancati controllo e sorveglianza delle aerovie e per attacchi da

parte di aerei nemici , poiché ciò integra una domanda nuova nei

. confronti del Ministero delllInterno.

2.l.Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione o falsa applicazione dell’art. 345 C.P.C. ed omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto

controverso e decisivo ex art. 360 n. 3 e 5 C.P.C..

Lamenta la ricorrente che la corte di appello abbia ammesso la

produzione all’udienza de11’11.7.2006, fissata per la spedizione a

sentenza della causa, delle copie di due sentenze penali della

Corte di assise di Roma (del 30.4.2004) e della Corte di assise di

appello (del 15.12.2005), che avevano assolto tali Bartolucci e

Ferri dal reato di depistaggio, ipotizzato nell’aver impedito

l’esercizio delle attribuzioni del Governo italiano in occasione

del disastro di Ustica. Secondo la ricorrente, essendo stata la

documentazione detta prodotta dopo la precisazione delle

conclusioni, essa era inammissibile e non poteva essere assimilata

alla produzione di precedenti giurisprudenziali.

2.2. I1 motivo è fondato.

Va osservato che le due sentenze in questione (depositate in

presenza dell’opposizione di controparte) contenevano ipotesi

ricostruttive, dati peritali, testimonianze circa le dinamiche e

 

giudizio della parte con la contestuale loro elencazione nell’atto

di appello o nella comparsa di risposta – come è awenuto nella

fattispecie – possono essere utilmente depositati anche nel corso

della fase istruttoria di secondo grado fino alla precisazione

delle conclusioni ed alla rimessione della causa al collegio, in

modo che sia consentito alla controparte di prenderne visione in

tempo utile, per eventualmente modificare le proprie conclusioni,

e di illustrarle poi nelle scritture difensive e in sede di

discussione orale della causa.

Pertanto, i documenti nuovi, depositati dopo la rimessione della

causa al collegio, possono ritenersi ritualmente introdotti nel

processo solo se la parte awersa, messa in condizione di

esaminarli e di commentarli, abbia aderito alla loro tardiva

produzione (Cass., 3 gennaio 1991, n. 25). Ed infatti l’art. 345

C.P.C., nel riconoscere alle parti la facoltà di produrre nuovi

documenti nel giudizio di appello, non contiene alcuna

disposizione speciale in ordine al termine per il relativo

deposito e, pertanto, la produzione medesima deve ritenersi

consentita, in base alla regola generale stabilita dalllart. 184

C.P.C., sino alla rimessione della causa al collegio (Cass., 26

giugno 1992, n. 7923; Cass. 27/11/1997, n.11961).

. . Nella fattispecie alla produzione di tale documentazione si oppose

tempestivamente la ricorrente.

3.1.Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta

l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione

dell’impugnata sentenza sulla ritenuta oggettiva opinabilità

delle certezze espresse dal primo giudice circa le cause del

sinistro e circa la non esistenza di accertamenti giudiziali sulle

cause del disastro di Ustica.

Assume la ricorrente che con errata motivazione la sentenza

impugnata ha ritenuto che alla luce delle sentenze penali in atti

risultavano opinabili le certezze espresse dal primo giudice; che,

invece, questi aveva indicato ben 31 elementi da cui emergeva che

il sinistro era stato causato da un missile lanciato da aereo

militare contro l’aereo delllItavia; che la corte di merito non

aveva valutato tali 31 elementi indicati dal primo giudice; che ,

in ogni caso, la sentenza di appello non aveva valutato – in

autonomia rispetto al giudice penale – i dati acquisiti nel

processo penale, ma si era appiattita alla valutazione effettuata

da quel giudice, con rinvio a quella decisione; che, infine, la

sentenza impugnata si era contraddittoriamente riportata al “fatto

notorio” che non esisteva alcun giudizio penale in cui fosse stata

individuata la responsabilità penale del sinistro né che alcuna

imputazione del sinistro fosse stata effettuata nei confronti di

alcuno( ma solo procedimenti penali per depistaggio).

3.2. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione o falsa applicazione dei principi e delle norme in tema

di illecito omissivo colposo, in particolare del c.d. principio

della concretizzazione del rischio (art. 360 n. 3 c.p.c).

Lamenta la ricorrente che la corte di appello erroneamente abbia

ritenuto che, ove anche fosse rimasto accertato che la causa del

sinistro era l’esplosione di un missile, non sussisteva la

responsabilità dei Ministeri dei Trasporti e della Difesa, per

mancanza dell’individuazione di un obbligo degli stessi di

impedire l’evento, ed, in ogni caso per mancata allegazione e

prova che i Ministeri conoscessero il comportamento dannoso del

terzo, poiché solo in questo caso sorgeva l’obbligo per i

convenuti di impedire l’evento.

Assume la ricorrente che esistevano specifici obblighi di legge a

carico dei Ministeri di assicurare la sicurezza dei cieli

nazionali ed impedirvi l’accesso da parte di aerei nemici; che

nella fattispecie non era necessaria la conoscenza del

comportamento del terzo (altrimenti si ricadeva in un’ipotesi di

dolo) ma solo la conoscibilità; che tale conoscibilità del

pericolo era implicita nella norma che poneva l’obbligo di

attivarsi;che l’evento rientrava tra quelli che la norma intendeva

evitare, per cui rappresentava una concretizzazione del

rischio;che i convenuti dovevano provare che sussistevano elementi

per escludere in concreto la prevedibilità o l’evitabilità del

particolare tipo di evento.

3.3.Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 C.C. e dei principi

in materia di colpa (art. 360 n. 3 C.P.C.), nonché il vizio

motivazionale in ordine alla ritenuta mancanza di prova sulla

conoscenza da parte degli organi dello Stato della presenza di

veicoli che potessero risultare anche solo potenzialmente

pericolosi per lfaereo(art. 360 n. 5 C.P.C.).

Assume la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata aveva

escluso la colpevolezza del Ministero della Difesa, senza avere

considerato che il Ministero era tenuto per legge a sorvegliare ed

impedire che nello spazio aereo entrassero aerei ostili, per cui

la presunta mancanza di conoscenza era da addebitarsi al difettoso

esercizio del controllo aereo.

3.4. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 C.C. e

segnatamente dei principi in tema di colpa, nonché l’omessa,

insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto

controverso e decisivo per il giudizio, in particolare

sull’inesistenza di allegazione e di prova circa la conoscenza da

parte di organi dello Stato della presenza di velivoli, anche solo

potenzialmente pericolosi (art. 360 n. 3 e 5 C.P.C.).

Assume la ricorrente che, ai fini della colpa dei convenuti, non

era necessario che questi avessero la conoscenza della presenza di

veicoli ostili (poiché in questo caso si ricadeva nel dolo), ma

solo la conoscibilità degli stessi, se essi avessero adeguatamente

effettuato attività di sorveglianza. Assume poi la ricorrente che

è contraddittorio, con tale pretesa mancanza di conoscibilità,

l’assunto della sentenza impugnata, secondo cui era notorio negli

anni ’80 che lo Stato italiano era quotidianamente attraversato da

aerei militari stranieri della Nato.

3.5.Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio

motivazionale dell’impugnata sentenza circa la ritenuta

imprevedibilità e straordinarietà del lancio di missili (nel caso

che questa fosse stata la causa del sinistro) non correlabile ad

eventuali carenze del controllo del traffico aereo.

Ritiene la ricorrente che tale motivazione è contraddittoria con

l’assunto che si trattava di aereo straniero non identificato e

nascosto sulla scia di un aereo civile, che poi colpì.

3.6.Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione dei principio in tema di nesso causale in illecito

omissivo e, quindi, la violazione degli artt. 40 e 41 C.P. e

dell’art. 2043 C.C., nonché dell’omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza

del nesso causale tra le omissioni dei ministeri della difesa e

dei trasporti ed il disastro aereo (art. 360 n. 3 e 5 C.P.C.).

Lamenta la ricorrente che integra violazione delle suddette norme

l’avere la corte di appello escluso la sussistenza di un nesso

eziologico tra le azioni colposamente omesse dai Ministeri dei

Trasporti e della Difesa e l’abbattimento dell’aereo di linea

Itavia mediante un missile lanciato da uno degli aerei da guerra

penetrato nello spazio aereo italiano sulla base

dell’affermazione che le dette omissioni avrebbero implicato

un’esatta conoscenza della situazione con ampio anticipo rispetto

al momento in cui si verificò l’esplosione e che è una mera

. . deduzione che potessero essere adottate misure idonee ad evitare

la presenza nell’area di altri aerei.

Assume la ricorrente che con giudizio controfattuale la corte di

merito avrebbe dovuto verificare se l’evento non si sarebbe

verificato se, accertata la presenza di aereo non identificato,

fosse stata assegnata all’aero Itavia una rotta diversa owero

fosse stato intercettato l’aereo militare non identificato.

4.1.1 suddetti motivi, essendo strettamente connessi, vanno

esaminati congiuntamente.

Essi sono fondati.

Anzitutto la motivazione della sentenza, nella parte in cui si

fonda sulle due sentenze penali, indicate al punto 2.1., essendo

state le stesse prodotte irritualmente all’udienza de11’1.7.2006,

P’ è evidentemente viziata, poiché tali sentenze tamquam non esset

nella produzione di questo procedimento.

Sennonché l’innervatura motivazionale della sentenza è per la

gran parte fondata su altri atti penali ed acquisiti ritualmente

in questo giudizio civile. Per le decisioni fondate su questi

ultimi, occorre effettuare una premessa in riferimento alle

censure relative a pretesi vizi motivazionali, segnatamente in

merito alla causa del disastro aereo ( e cioè se dovuto ad

esplosione interna per bomba,a cedimento strutturale dell’aereo,

owero ad esplosione esterna dovuta a missile lanciato da altro

aereo), nella parte in cui si lamenta che la corte territoriale si

sia riportata acriticamente (“appiattita”) alle conclusioni dei

giudici penali sull’inesistenza di certezze in merito alla causa

. . del sinistro senza alcuna autonomia valutativa e senza esaminare i

31 elementi individuati dal giudice di primo grado per ritenere

che l’esplosione fosse dovuta ad un missile.

Poiché nel nuovo codice di procedura penale non è stata riprodotta

la disposizione di cui alluart. 3, comma secondo, del codice

abrogato, né sono state reiterate le altre disposizioni alla

stessa collegate (artt. 24 cod. proc. pen. e segg.) con

conseguente eliminazione di ogni riferimento alla cosiddetta

pregiudiziale penale dal testo dell’art. 295 cod. proc. civ. in

occasione della sua riformulazione ad opera dell’art. 35 della

legge 26 novembre 1990, n. 353, si deve ritenere che il nostro

ordinamento non sia più ispirato al principio, in precedenza

imperante, dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del

giudizio penale su quello civile, e che, viceversa, sia stato

instaurato dal legislatore il diverso sistema della pressoché

completa autonomia e separazione dei due giudizi nel senso che,

tranne alcune particolari ipotesi di sospensione del processo

civile previste dall’art. 75, comma terzo, del codice di procedura

penale (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di

parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di

primo grado) il processo civile deve proseguire il suo corso senza

essere influenzato dal processo penale, e, inoltre, anche nel

senso che il giudice civile deve procedere ad autonomo

accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) dedotti in

giudizi( ex multis: Cass., 01/07/2004, n.12093; Cass. 10/08/2004,

n.15477; Cass. 9.4.2003, n. 5530; Cass. S.U., ord., 5.11.2001, n.

13682).

I1 processo civile è retto dal principio di disponibilità delle

prove, sia pure temperato da ipotesi di iniziativa istruttoria

ufficiosa, che tuttavia la giurisprudenza ritiene come potere

discrezionale, incensurabile in sede di legittimità.

14

I

In materia penale l’introduzione del sistema accusatorio in luogo

di quello inquisitorio, ha dato ingresso al principio della

disponibilità della prova anche in tale processo, ma ha lasciato

ampio spazio attraverso specifiche norme, segnatamente l’art. 507

C.P.P. (ma vendasi tra gli altri, anche artt. 507, 508, 511,603

C.P.P. ) all’iniziativa probatoria del giudice, anche con

riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto

richiedere e non hanno richiesto, preesistenti o sopravvenute,

conosciute o sconosciute (Cass. pen., Sez. Unite, 06/11/1992,

Martin; Cass. pen., Sez. Unite, 17/10/2006, n.41281).

4.2.Attualmente costituisce punto fermo che il giudice civile si

può awalere nell’ambito dei suoi accertamenti in merito

all’esistenza del fatto considerato come reato, di tutte le prove

che il rito civile prevede e ciò indipendentemente dal fatto se

abbiano cittadinanza nell’ordinamento processualpenalistico.

Ciò è stato affermato con chiarezza anche per le ipotesi in cui

il giudice deve accertare se il fatto dannoso integri pure un

reato, sia per il danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059

C.C.( Cass. 12.5.2003, n. 7281; Cass. 3/12/2007, n.25187), sia per

la più lunga prescrizione dell’azione risarcitoria nell’ipotesi di

cui all’art. 2947, C. 3 C.C. (Cass. S.U. 18.11.2008, n. 27337).

Una volta affermata l’autonomia tra il giudizio civile e quello

penale, il giudice civile deve accertare la fattispecie

costitutiva della responsabilità aquiliana, posta al suo

esame,anche se integrante reato, con i mezzi suoi propri e

,quindi, con i mezzi di prova offerti al giudice dal rito civile

per la sua decisione.

Tra questi mezzi non solo vi è la presunzione, legale o non,

(Cass. 12.5.2003, n. 7281), ma addirittura vi sono le c.d. “prove

legali”, in cui la legge deroga al principio del libero

convincimento del giudice (artt. 239 C.P.C., artt. 2700, 2702,

2705, 2709, 2712, 2713, 2714, 2715, 27120, 2733; 2734, 2735,

2738,c.c.).

La categoria delle prove legali è – invece – completamente

sconosciuta all’ordinamento penale.

4.3.Questa autonomia tra il processo civile e quello penale, che

trova le sue radici nelle diverse struttura e finalslità dei due

processi, si riflette – tra l’altro – sui diversi standars di

certezza probatoria, esistenti tra i due processi, come di recente

è stato rilevato.

Sotto questo profilo, ciò che muta sostanzialmente tra il processo

penale e quello civile è la regola probatoria, in quanto nel primo

vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio” (cf r .

Cass. Pen. S.U. 11 settembre 2002, n. 30328, Franzese), mentre nel

secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del

più probabile che non”, stante la diversità dei valori in gioco

nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli

in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti, come

rilevato da attenta dottrina che ha esaminato l’identità di tali

standars delle prove in tutti gli ordinamenti occidentali, con la

predetta differenza tra processo civile e penale (in questo senso

vedansi: Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U. 11/01/2008, n.

582. Cass. 16.10.2007, n. 21619; Cass. 18.4.2007, n. 9238).

Ciò comporta che il P.M. potrebbe non esercitare l’azione penale

a fronte di una notitia criminis e chiedere l’archiviazione, sul

rilievo che non sia possibile raggiungere nel dibattimento

sufficienti risultati probatori ai fini dell’affermazione della

responsabilità penale, tenuto conto del detto livello di certezza

e dei diversi mezzi probatori a sua disposizione, mentre il

giudice civile, egualmente correttamente, sulla base dei diversi

standards probatori e mezzi di prova ritenere sussistente il fatto

dannoso e la conseguente responsabilità civile.

4.4.11 principio ha avuto larga diffusione in tema di prova del

nesso causale. Anche la Corte di Giustizia CE è indirizzata ad

accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di

tipo probabilistico (CGCE, 13/07/2006, n. 295, ha ritenuto

sussistere la violazione delle norme sulla concorrenza in danno

del consumatore se “appaia sufficientemente probabilen che

l’intesa tra compagnie assicurative possa avere unlinfluenza sulla

vendita delle polizze della detta assicurazione; Corte giustizia

CE, 15/02/2005, n. 12, sempre in tema di tutela della concorrenza,

ha ritenuto che “occorre postulare le varie concatenazioni causaeffetto,

ad fine di accogliere quelle maggiormente probabiliw).

Detto standard di “certezza probabili~tica~i~n materia civile non

può essere ancorato esclusivamente alla determinazione

quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi

(c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche

mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il

grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel

contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili

in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o

baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione

logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei

relativi elementi di con£e rma (C.d . evidence and inference nei

sistemi anglosassoni).

4.5. Sennonchè esigenze di coerenza e di armonia dell’intero

processo civile comportano che tale principio della probabilità

prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta

di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie,

sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma

sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la

scelta da porre a base della decisione di natura civile va

compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente.

Bisogna in sede di decisione sul fatto scegliere l’ipotesi che

riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli

elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi,

di una scelta comparativa e relativa all’interno di un campo

rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario

grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi

di prova favorevoli all’una o all’altra ipotesi.

I1 criterio della probabilità prevalente fonda anche il sistema

logico-operativo della prova presuntiva (secondo la dottrina che

più di ogni altra ha esaminato l’argomento, con riferimento al

requisito della “gravità”), che è essenzialmente un ragionamento

probabilistico per giungere alla conclusione più probabile (fatto

ignoto) tra quante possono esser ipoteticamente tratte dalla

stessa premessa e cioè dal fatto noto.

Questi criteri operativi della valutazione degli elementi

probatori fondati sulla probabilità prevalente attengono

esclusivamente al processo civile, mentre sono estranei al

processo penale, attesa la diversità di struttura e di finalità

dei due procedimenti.

4.6.Ne consegue che nella fattispecie presenta i lamentati vizi la

sentenza impugnata che nell’accertamento della causa del sinistro

si è riportata alle conclusioni cui erano pervenute le sentenze

penali (anche diverse da quelle espunte di cui al punto 2.1. ) , da

una parte senza valutare autonomamente le prove raccolte in sede

penale, prendendo anche posizione in merito agli specifici punti

ricostruttivi del fatto indicati dal primo giudice e fatti propri

dall’attuale ricorrente, e dall’altra senza adottare i diversi

standards di certezza probatoria richiesti in materia civile.

I1 giudice civile, invece, sul rilievo, definito notorio, che non

vi era stato nessun giudizio penale avente ad oggetto

l’individuazione del responsabile penale del sinistro di Ustica,

. . ha ritenuto che egualmente si dovesse escludere l’accertabilità

di una responsabilità civile.

5.1.Fondate sono anche le censure in tema di violazione delle

norme in materia di illecito omissivo colposo, che aggrediscono la

seconda ratio decidendi, esposta nell’impugnata sentenza, ove si

fosse ritenuta inappagante la prima, attinente alla pretesa

incertezza della causa del disastro.

Tale seconda r a t i o investe il nesso di causalità tra il preteso

comportamento omissivo dei Ministeri e l’evento dannoso della

caduta dell’aereo. Sul punto la corte territoriale ha escluso il

nesso di causalità, sia pure con giudizio ipotetico.

La questione, quindi, si sposta sul più generale problema del

nesso casuale.

Osserva preliminarmente questa Corte che l’insufficienza del

tradizionale recepimento in sede civile dell’elaborazione

penalistica in tema di nesso causale è emersa con chiarezza nelle

concezioni moderne della responsabilità civile, che costruiscono

la struttura della responsabilità aquiliana intorno al danno

ingiusto, anzichè al “fatto illecito”, divenuto “fatto dannoso”.

In effetti, mentre ai fini della sanzione penale si imputa al reo

il fatto-reato (il cui elemento materiale è appunto costituito da

condotta, nesso causale, ed evento naturalistico o giuridico), ai

fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e

non il fatto in quanto tale.

E tuttavia un “fatto” è pur sempre necessario perchè la

responsabilità sorga, giacchè l’imputazione del danno presuppone

l’esistenza di una delle fattispecie normative di cui all’art.

2043 C. C. e segg., le quali tutte si risolvono nella descrizione

di un nesso, che leghi storicamente un evento o ad una condotta o

a cose o a fatti di altra natura, che si trovino in una

particolare relazione con il soggetto chiamato a rispondere.

 

Il I1danno rileva così sotto due profili diversi: come evento

lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, retto il primo

dalla causalità materiale ed il secondo da quella giuridica.

I1 danno oggetto dellrobbligazione risarcitoria aquiliana è quindi

esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo (di cui è un

elemento l’evento lesivo).

Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno –

conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria.

5.2.Proprio in conseguenza di ciò si è consolidata nella cultura

giuridica contemporanea l’idea, sviluppata soprattutto in tema di

nesso causale, che esistono due momenti diversi del giudizio

aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la

responsabilità (per la quale la problematica causale, detta

causalità materiale o di fatto, presenta rilevanti analogie con

quella penale, artt. 40 e 41 C.P., ed il danno rileva solo come

evento lesivo) e la determinazione delllintero danno cagionato,

che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria.

A questo secondo momento va riferita la regola delllart. 1223

C.C., (richiamato dall’art. 2056 C.C.), per il quale il

risarcimento deve comprendere le perdite “che siano conseguenza

immediata e diretta” del fatto lesivo (C .d. causalità giuridica) ,

. . per cui esattamente si è dubitato che la norma attenga al nesso

causale e non piuttosto alla determinazione del quantum del

risarcimento, selezionando le conseguenze dannose risarcibili.

Secondo l’opinione assolutamente prevalente, occorre distinguere

nettamente, da un lato, il nesso che deve sussistere tra

comportamento ed evento perchè possa configurarsi, a monte, una

responsabilità’ llstrutturalen (secondo la dottrina tedesca) e,

dall’altro, il nesso che, collegando l’evento al danno, consente

l’individuazione delle singole conseguenze dannose, con la

precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già

accertata) responsabilità risarcitoria.

Nel macrosistema civilistico l’unico profilo dedicato al nesso

eziologico, è previsto dall’art. 2043 C.C., dove l’imputazione del

“fatto doloso o colposo” è addebitata a chi “cagiona ad altri un

danno ingiusto”, o, come afferma l’art. 1382 Code Napoleon “qui

cause à autrui un domage”.

5.3.Ai fini della causalità materiale nell’ambito della

responsabilità aquiliana la giurisprudenza e la dottrina

prevalenti, in applicazione dei principi penalistici, di cui agli

artt. 40 e 41 C.P., ritengono che un evento è da considerare

causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il

primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d.

teoria della condicio sine qua non).

I1 rigore del principio dell’equivalenza delle cause, posto

dall’art. 41 C.P., in base al quale, se la produzione di un evento

dannoso è riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi

ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento

nel principio di causalità efficiente, desumibile dal secondo

coma dell’art. 41 C.P., in base al quale l’evento dannoso deve

essere attribuito esclusivamente alloautore della condotta

soprawenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere

irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori

delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto

(Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; C~SS.

10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268).

Nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per

determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi,

all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a

quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento

causante non appaiano del tutto inverosimili, ma che si presentino

come effetto non del tutto imprevedibile, secondo il principio

della c.d. causalità adeguata o quello similare della c.d.

regolarità causale (Cass. S.U. 11/01/2008, n. 576; Cass. S.U.

11/01/2008, n. 582).

5.4.Nel11imputazione per omissione colposa, come quella in esame,

il giudizio causale assume come termine iniziale la condotta

omissiva del comportamento dovuto (Cass. n. 20328 del 2006; Cass.

n. 21894 del 2004; Cass. n. 6516 del 2004; Cass. 22/10/2003, n.

15789): rilievo che si traduce a volte nell’affermazione

delllesigenza, per l’imputazione della responsabilità, che

l’evento dannoso sia una concretizzazione del rischio, che la

norma di condotta violata tendeva a prevenire.

. . E’ questa l’ipotesi per la quale parte della dottrina parla anche

di mancanza di nesso causale di antigiuridicità e che

effettivamente non sembra estranea ad una corretta impostazione

del problema causale, anche se nei soli limiti di supporto

argomentativo ed orientativo nell’applicazione della regola di cui

all’art. 40 C.P., coma 2.

Poichè l’omissione di un certo comportamento, rileva, quale

condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso,

soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento imposto

da una norma giuridica specifica (omissione specifica), ovvero, in

relazione al configurarsi della posizione del soggetto cui si

addebita l’omissione, siccome implicante l’esistenza a suo carico

di particolari obblighi di prevenzione dell’evento poi

verificatosi e, quindi, di un generico dovere di intervento

(omissione generica) in funzione dell’impedimento di quelllevento,

il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può

limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì

postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico o

generico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto.

L’individuazione di tale obbligo si connota come preliminare per

l’apprezzamento di una condotta omissiva sul piano della

causalità, nel senso che, se prima non si individua, in relazione

al comportamento che non risulti tenuto, il dovere generico o

specifico che lo imponeva, non è possibile apprezzare l’omissione

del comportamento sul piano causale.

La causalità nell’omissione non pu6 essere di ordine strettamente

materiale, poichè ex nihilo nihil fit.

Anche coloro (corrente minoritaria) che sostengono la causalità

materiale nell’omissione e non la causalità normativa (basata

sulllequiparazione disposta dalllart. 40 C.P.) fanno coincidere

l’omissione con una condizione negativa perchè l’evento potesse

realizzarsi.

La causalità è tuttavia accertabile attraverso un giudizio

ipotetico: l’azione ipotizzata, ma omessa, avrebbe impedito

l’evento? In altri termini non può riconoscersi la responsabilità

per omissione quando il comportamento omesso, ove anche fosse

stato tenuto, non avrebbe comunque impedito l’evento prospettato:

la responsabilità non sorge non perchè non vi sia stato un

comportamento antigiuridico (l’omissione di un comportamento

dovuto è di per sè un comportamento antigiuridico), ma perchè

quell’omissione non è causa del danno lamentato.

I1 giudice pertanto è tenuto ad accertare se l’evento sia

ricollegabile all’omissione (causalità ornissiva) nel senso che

esso non si sarebbe verificato se (causalità ipotetica) l’agente

avesse posto in essere la condotta doverosa impostagli, con

esclusione di fattori alternativi.

L’accertamento del rapporto di causalità ipotetica passa

attraverso l’enunciato llcontrofattualellc he pone al posto

dell’omissione il comportamento alternativo dovuto, onde

verificare se la condotta doverosa avrebbe evitato il danno

lamentato dal danneggiato.

. . 6.1. Correttamente il giudice di appello ha ritenuto che al fine

di affermare la responsabilità da condotta omissiva era necessario

individuare anzitutto quale fosse la fonte che imponeva il

comportamento (che si assumeva omesso) ed ha ritenuto che esso non

potesse coincidere con il generico obbligo del neminem laedere.

,’

Sennonchè , giusto quanto rilevato dalla stessa attrice, già

all’epoca sulla base di specifiche normative gravava sul Ministero

della difesa l’obbligo di assicurare la sicurezza nei cieli e di

impedire l’accesso di aerei non autorizzati o nemici (d.p.r.

18.11.1965, n. 1477, art. 12, d.p.r. 18.11.1965, n. 1478, art. 23

1. 16.2.1977 n. 38) e sul Ministero dei Trasporti, attraverso

l’apposito Commissariato, l’assistenza e la sicurezza del volo

(d.1. 24.10.1979, n. 511).

6.2.Una volta dimostrata la sussistenza di uno specifico obbligo

di impedire l’evento ed una volta che fosse appurato che l’evento

appartiene al novero di quelli che la norma mirava ad evitare

attraverso il comportamento richiesto, ma eventualmente omesso,

non sarebbe necessario, come ritenuto erroneamente dalla corte di

merito, che sussista anche la conoscenza dell’esistenza del

pericolo, e nella fattispecie, della presenza di aerei pericolosi

I1 giudizio di prevedibilità ed evitabilità dell’evento è già

formulato nella norma che pone l’obbligo di attivarsi ed impedire

l’evento e l’evento non è altro che la concretizzazione del

rischio che la norma (sia specifica sia generica) mira ad evitare.

In questo caso la colpa esiste pur sempre e consiste nel porre in

essere il comportamento omissivo, in modo cosciente e volontario,

in violazione del dovere specifico o generico.

La corte di merito, quindi, ha erroneamente mancato di attribuire

rilievo alla circostanza che l’evento (connesso alla penetrazione

nello spazio aereo italiano ed all’occupazione dell’aerovia

assegnata alllItavia da parte di veicoli da guerra non autorizzati

26 / l7

e non identificati) era di quelli che le norme di condotta (

relative all’attività di sorveglianza dei due Ministeri)

intendeva evitare.

6.3.Nel11ipotesi in cui la corte di merito avesse ritenuto “più

probabile che non” l’abbattimento ad opera di aereo non

identificato del DC 9 delllItavia, secondo la ricostruzione

operata dal tribunale e propugnata attualmente dalla ricorrente,

essa avrebbe anche dovuto valutare le eventuali prove fornite dai

Ministeri convenuti (su cui gravava il relativo onere) che,

nonostante il controllo degli spazi aerei secondo le normali

tecniche dell’epoca, l’intrusione dell’aereo militare ostile non

fu percepita per fattori eccezionali ed imprevedibili owero che

l’evento non fu evitabile. I1 solo fatto che i predetti convenuti

non avessero conoscenza della presenza di velivoli nell’aerovia

assegnata ad Itavia, ed a maggior ragione, che si trattasse di

aerei militari non identificati, di per sé non è elemento idoneo

ad escludere la colpevolezza, poiché integra proprio, se non

altrimenti giustificato, l’inosservanza delle norme di condotta e

di sorveglianza e controllo o quanto meno il difettoso esercizio

di tali attività.

6.4.Fondata è anche la censura di contraddittorietà della

motivazione.

Infatti la sentenza impugnata afferma che non sussiste la prova

circa la conoscenza da parte di organi dello Stato della presenza

di velivoli anche solo potenzialmente pericolosi nell’aerovia

assegnata ad Itavia e poi afferma che ” è noto che lo Stato

italiano, attualmente, ma ancora di più negli anni ’80 era

quotidianamente attraversato da aerei militari stranieri, ubicati

nelle diverse basi Nato e sulle portaerei”.

6.5. Egualmente fondato è il lamentato vizio motivazionale

relativamente all’assunto dell’imprevedibilità e straordinarietà

del lancio dei missili.

Tale straordinarietà ed imprevedibilità in linea logica poteva

sussistere se l’aereo, armato con missili, fosse stato

identificato ed autorizzato all’ingresso nei confini nazionali. Se

invece l’aereo era non identificato e si “nascondeva” in coda ad

un aereo di linea, non poteva ritenersi imprevedibile una condotta

pericolosa in danno di tale ultimo aereo, che veniva inseguito in

violazione di norme internazionali sugli spazi aerei.

6.6.Egualmente fondata è la censura di vizio motivazionale in

ordine alla ritenuta insussistenza del nesso causale tra le

assunte omissioni dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti ed il

disastro aereo, nonché di violazione dei principi in tema di

causalità normativa e/o ipotetica.

La corte di merito ha ritenuto che, se anche i Ministeri avessero

proweduto alla sorveglianza dovuta, essi non avrebbero mai avuto

~. un’esatta conoscenza della situazione con ampio anticipo rispetto

. . al momento dell’esplosione al fine di adottare misure idonee per

evitare il sinistro.

Come correttamente rileva la ricorrente, è illogica la sentenza

allorchè fa riferimento al momento terminale dell’esplosione, in

quanto l’assegnazione di altra rotta allrItavia o l’interdizione

al decollo o l’obbligo di atterraggio del DC 9 o l’intercettazione

dell’aero ostile da parte di aerei intercettori italiani, doveva

essere correlata non al momento dell’esplosione del missile, ma al

momento della conoscibilità dell’esistenza di tale aereo nemico da

. parte degli operatori dei Ministeri convenuti.

Inoltre con riferimento a tale momento doveva essere effettuato il

giudizio controfattuale, al fine di stabilire se, adottando la

condotta dovuta di sorveglianza e controllo e pretesamene omessa,

nonché le misure conseguenti all’awistamento di aereo da guerra

non identificato nell’aerovia del DC 9,il disastro si sarebbe

evitato.

Tutto ciò andava accertato secondo il principio della certezza

probabilistica nei termini sopra detti.

7.Con l’ottavo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la

violazione o falsa applicazione dell’art. 1218 C.C. ed omessa,

insufficiente o contraddittoria motivazione sulla responsabilità

contrattuale del Ministero dei Trasporti (art. 360 n. 3 e 5

C.P.C.).

Assume la ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata non ha

accolto la sua domanda a norma dell’art. 1218 C.C., essendo

. inadempiente il Ministero dei Trasporti all’obbligo contrattuale

. . (derivante dalla concessione dell’esercizio del volo di linea) di

garantire la sicurezza dell’aerovia assegnata al concessionario.

8.1. I1 motivo è inammissibile.

 

La Corte di merito non ha proprio esaminato né si è pronunziata su

alcuna domanda di responsabilità contrattuale da parte del

Ministero dei Trasporti.

I1 motivo, pertanto, è inammissibile per difetto di interesse, non

. configurandosi al riguardo una situazione di soccombenza, poiché

la sentenza non contiene la statuizione della quale si assume

llerroneità e non contiene sul punto oggetto di gravame alcuna

declaratoria della volontà di legge nel caso concreto, esulando

dai compiti della corte di cassazione di prowedere direttamente

ad una dichiarazione siffatta, atteso che il giudizio di

cassazione è preordinato al controllo di legittimità di

statuizioni effettivamente rese dal giudice del merito, non già a

porre un rimedio sostitutivo all~omessa pronunzia di questi, la

quale – previa denunzia del relativo vizio – può dar luogo sotto

il diverso profilo dell’art. 360 n. 4 ad annullamento con

pronunzia restitutoria della causa alla fase nella quale

l’omissione si è verificata e non già a cassazione con

enunciazione del principio di diritto, come si evince dal disposto

del comma 1 dell’art. 384 C.P.C. in relazione all’art. 383 stesso

codice( Cass. 19 gennaio 1996, n. 408).

. Infatti l’omessa pronuncia, quale vizio della sentenza deve essere

, . fatta valere dal ricorrente per cassazione esclusivamente

attraverso la deduzione del relativo error in procedendo e della

violazione dell’articolo 112 del C.P.C. e non già con la denuncia

della violazione di norme di diritto sostanziale owero del vizio

di motivazione di cui alllarticolo 360, n. 5, del C.P.C., in

quanto tali ultime censure presuppongono che il giudice del merito

abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia

risolta in modo giuridicamente non corretto owero senza

giustificare, o non giustificando adeguatamente, la decisione resa

al riguardo. Contemporaneamente solo la corretta deduzione della

doglianza ex articolo 112 del C.P.C., trattandosi di una norma

processuale, può consentire al giudice di legittimità l’esame

degli atti dei giudizio al fine di verificare la effettiva

deduzione come motivo di appello della censura la cui mancata

considerazione da parte del giudice di secondo grado è dedotta

come motivo di gravame nel ricorso per tassazione (Cass.

24/02/2004, n.3646; 23/01/2004, n.1170; Cass. 17/10/2003,

n.15555;Cass. 15/07/2003, n.11034; Cass. 18/06/2003, n.9707;

Cass. 17/01/2003, n.604; Cass. 17/07/2003, n.11197; Cass.

24/06/2002, n.9159; Cass. n. 10558/2002; Cass. S.U. 14.1.1992, n.

369).

8.2.Nella fattispecie, invece, la ricorrente ha da una parte

lamentato esclusivamente la violazione di norme di diritto

sostanziale e dall’altra ha proposto il ricorso esclusivamente

sotto il profilo di cui all’art. 360 n. 3 e 5 C.P.C..

. 9.Inamrnissibile è anche il nono motivo, attinente alla violazione

. . e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1282 e 2056 C.C. sul

calcolo degli interessi legali.

I1 tribunale di Roma riconobbe gli interessi in favore

dell’attrice dal 31.12.2000 e non dalla data della sentenza.

Awerso tale statuizione l’attrice propose appello incidentale. La

corte di appello di Roma non si pronunciò su tale impugnazione,

ritenendola assorbita.

In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di

interesse il motivo di ricorso che proponga censure che non sono

dirette contro una statuizione della sentenza di merito, ma sono

relative a questioni sulle quali il giudice di appello non si è

pronunciato, ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali

questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto

dell’impugnazione. Pertanto, esse possono solo essere riproposte

nel giudizio di rinvio in caso di accoglimento del ricorso

principale (Cass. 19/10/2006, n.22501).

10.In definitiva, va dichiarato inammissibile il ricorso nei

confronti del Ministero dellfInterno. Vanno accolti i primi sette

motivi di ricorso nei confronti dei Ministeri della Difesa e dei

Trasporti e vanno dichiarati inammissibili i motivi ottavo e nono.

Va cassata, in relazione, l’impugnata sentenza e va rinviata,

anche per le spese del giudizio di cassazione tra i Ministeri

della Difesa e dei Trasporti e la ricorrente, la causa ad altra

sezione della Corte di appello di Roma, che – esclusa qualsiasi

utilizzabilità delle due sentenze penali di cui al I motivo di

ricorso – si uniformerà ai principi di diritto di cui ai punti

4.3. e 5.4.

Esistono giusti motivi (segnatamente l’oggettiva complessità

dell’accertamento fattuale) per compensare le spese del giudizio

di cassazione tra la ricorrente ed il Ministero dell’interno.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero

dellrInterno. Accoglie i primi sette motivi di ricorso nei

confronti dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti e dichiara

inammissibili i motivi ottavo e nono. Cassa, in relazione,

l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese del

giudizio di cassazione tra i Ministeri della Difesa e dei

Trasporti e la ricorrente, ad altra sezione della Corte di appello

di Roma.

Compensa le spese del giudizio di cassazione tra la ricorrente ed

il Ministero dell’interno.

Così deciso in Roma, lì 11 febbraio 2009.