Azione di restituzione o risarcimento – Sospensione del processo civile per pregiudizialità penale

[PARERE]

Nel precedente sistema processuale vigeva il dogma della unitarietà e della prevalenza del giudizio penale. Sicché l’art. 295 c.p.c. prevedeva, in relazione al previgente art. 3 c.p.p. che, quando i fatti a base della controversia civile erano anche quelli oggetto di accertamento in sede penale, il processo civile doveva essere sospeso. In seguito, però, alcune pronunce della Consulta ed il nuovo c.p.p. hanno sancito il superamento di tale principio.

Ed infatti il nuovo art. 75 c.p.p., comma II, prevede la possibilità per il danneggiato dal reato di agire autonomamente in sede civile senza che il giudizio sia sospeso sino all’esito del processo penale e senza che possa essere pregiudicato da un’eventuale sentenza penale assolutoria. La sospensione necessaria è prevista dall’art. 75. c.p.p., comma III, solo “se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado“.

Come ha avuto modo di affermare la S.C. in una illuminante sentenza del 2006, “nell’ordinamento processuale vigente, l’unico mezzo preventivo di coordinamento tra il processo civile e quello penale è costituito dall’art. 75 cod. proc. pen., il quale esaurisce ogni possibile ipotesi di sospensione del giudizio civile per pregiudizialità, ponendosi come eccezione al principio generale di autonomia, al quale s’ispirano i rapporti tra i due processi, con il duplice corollario della prosecuzione parallela del giudizio civile e di quello penale, senza alcuna possibilità di influenza del secondo sul primo, e dell’obbligo del giudice civile di accertare autonomamente i fatti” (Cass. civ., Sez. III, 12/06/2006, n. 13544).

Quindi la disposizione dell’art. 295 c.p.c., che, nel prescrivere la sospensione necessaria del processo civile per pregiudizialità, si riferisce a tutte le ipotesi di pregiudizialità, civile, penale ed amministrativa, va letta unitamente alle norme di coordinamento processuale tra il giudizio civile e quello penale contenute nell’art. 75 c.p.p..

L’art. 75, comma II, c.p.p. prevede le ipotesi in cui il danneggiato dal reato può agire autonomamente in sede civile senza che il giudizio sia sospeso sino all’esito del processo penale:

“L’azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile”.

Il comma III stabilisce che il processo civile è sospeso solo

se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale“.

La S.C., nella sentenza sopra riportata, continua precisando che

“La sospensione necessaria del giudizio civile è pertanto limitata all’ipotesi in cui l’azione in sede civile sia stata proposta dopo la costituzione di P.C. nel processo penale”.

Conforme anche  Cass. civ., Sez. lavoro, 14/03/2002, n. 3753:

In tema di azione civile per risarcimento dei danni promossa dalla parte lesa da un fatto costituente reato, il giudice civile è tenuto a sospendere il giudizio solo nei casi in cui si verifichi una delle condizioni che, in base alle disposizioni del codice di procedura penale che disciplinano i rapporti tra azione civile e giudizio penale, impongono al di sospendere il giudizio civile (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado: art. 75, comma 3, c.p.p.); ove tali condizioni non si verifichino, l’azione legittimamente esercitata in sede civile può essere proseguita e decisa in tale sede“.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione con riferimento a casi analoghi è ormai univocamente orientata nel senso di proseguire il giudizio in sede civile nonostante la contemporanea pendenza del processo penale:

La sospensione necessaria del processo ex art. 295 cod. proc. civ. ricorre qualora risultino pendenti davanti a giudici diversi procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico – giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati. Tale evenienza non ricorre qualora l’azione civile sia stata autonomamente esercitata prima che sia stata pronunziata sentenza penale di merito di primo grado, poiché l’esito del giudizio civile prescinde dall’esito del processo penale e dà luogo ad un accertamento del tutto autonomo, non sussistendo più la regola della pregiudizialità dell’accertamento penale rispetto a quello civile,desumibile dall’art. 3 del precedente codice di procedura penale. (Cass. civ., Sez. III, 24/11/2005, n.24811).

Ma si può proseguire con ulteriori considerazioni.

Il c.p.p. stabilisce l’inefficacia, nel processo civile, della sentenza assolutoria che decide il processo penale pregiudicante. Le SS.UU. civili (sent. 05/11/2001, n. 13682) hanno avuto modo di precisare che

“ai sensi degli art. 295 c.p.c., 75 c.p.p., 211 disp. att. c.p.c., fuori dal caso in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile ai sensi dell’art. 75, comma 2, c.p.p., negli altri casi, il processo può essere sospeso se tra processo penale e altro giudizio ricorra il rapporto di pregiudizialità indicato dall’art. 295 c.p.c. o se la sospensione sia prevista da altra specifica norma, e sempre a condizione che la sentenza penale esplichi efficacia di giudicato nell’altro giudizio, ai sensi degli art. 651, 652 e 654 c.p.p. (Sulla base di tale principio la S.C. ha annullato, per mancanza di un rapporto di pregiudizialità tra i giudizi, l’ordinanza di sospensione del processo civile avente ad oggetto l’adempimento del contratto in attesa della definizione del processo penale per la truffa relativa alla determinazione dei corrispettivi)“.

Vengono così individuate specificamente le tre condizioni, la cui contemporanea presenza è necessaria per la sospensione del processo civile di danno ex art. 295 c.p.c.:

  1. antecedente costituzione di parte civile o trasferimento dell’azione civile nel processo penale ex art. 75 c.p.p.;
  2. esistenza del rapporto di pregiudizialità penale;
  3. la sentenza penale deve esplicare efficacia nel processo civile.

La mancanza di uno solo di questi presupposti impedisce la sospensione del processo.

Abbiamo già detto dell’art. 75 c.p.p., per il caso in cui l’attore non si sia costituito parte civile nel processo penale.

Inoltre il danneggiato dal reato che agisce autonomamente in sede civile non può essere pregiudicato da un’eventuale sentenza penale assolutoria, così come disposto dall’art. 652 c.p.p., rubricato “Efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di danno“, che così recita:”La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato… [nel giudizio civile per le restituzioni e il risarcimento del danno, sempre che il danneggiato si sia costituito parte civile] …salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma 2“.

Pertanto, la sentenza penale irrevocabile (sempre che il danneggiato si sia costituito parte civile!):

  • se di condanna, ha efficacia di giudicato per le restituzioni e il risarcimento del danno nel giudizio civile promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile (art. 651 c.p.p.);
  • se di assoluzione e se il danneggiato dal reato ha esercitato l’azione in sede civile ex dell’art. 75 II comma c.p.p. (come nel caso de quo), il giudice civile non è vincolato dalla stessa (art. 652 c.p.p.). Si apre così la strada anche alla possibilità di giungere a giudicati contraddittori.

E’ chiaro, quindi, che il fatto-reato è idoneo a generare due differenti profili di responsabilità, l’uno rilevante in sede civile e l’altro in sede penale, che si collocano su binari paralleli ma separati ed in rapporto di totale in-dipendenza tra loro e non in rapporto di pregiudizialità-dipendenza ex art. 295 c.p.c..

All’esito del processo penale, sia nell’ipotesi di condanna sia nell’ipotesi di assoluzione dell’imputato dal reato contestatogli l’attore, potrà comunque avere diritto ad ottenere la restituzione o il risarcimento.

Se l’imputato sarà assolto si applicherà l’art. 652 c.p.p., che esclude espressamente l’efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile, di talché l’attore potrà comunque veder accolta la sua domanda; se l’imputato sarà condannato l’attore avrà diritto a fortiori alla restituzione delle somme versate e sarà il Giudice del merito a individuare la responsabile base alle regole sulla responsabilità soggettiva e/o oggettiva dettate dal codice civile.

Bisogna, infine, mettere in evidenza che l’autonomia del processo civile rispetto a quello penale si manifesta anche in materia probatoria. Infatti, mentre in quest’ultimo vige la regola della prova “oltre il ragionevole dubbio”, nel primo vige la diversa regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, con la conseguenza di dover porre a base della decisione sulla responsabilità civile la soluzione derivante dal criterio di probabilità prevalente, la quale riceva comparativamente il supporto logico maggiore sulla base degli elementi di prova (in questi termini la recentissima sent. Cass. Civ. n. 10285 del 5 maggio 2009).