Omessa pronuncia sulla distrazione e riduzione delle spese di lite richieste nella notula

 Corte di CassazioneCivile, sezione terza, sentenza n.1972 del 29 Gennaio 2014

Quando, infatti, il giudice ometta di pronunciarsi sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un’espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., e non degli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma. Questo principio, ormai pacifico, è stato affermato tra i‘aitro dalle Sezioni Unite di questa Corte con fa sentenza pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 16037 del 07/07/2010, ed in seguito ribadito anche da questa Sezione, con la sentenza pronunciata da Sez. 3, Sentenza n. 1301 dei 30/01/2012.

7.3. Ovviamente nulla rileva che la sentenza da correggere sia stata contemporaneamente impugnata da altre parti: l‘art. 287 c.p.c., infatti, specialmente dopo la pronuncia di parziale illegittimità costituzionale pronunciata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 335 dei 2004, stabilisce che il solo giudice competente alla correzione dell’errore materiale sia queìlo che ha emesso Ia sentenza da correggere, a nulla rilevando che la sentenza da correggere abbia formato oggetto di impugnazione (Sez. L, Sentenza n. 9968 dei 12/05/2005).

E comunque, anche prima dell’intervento della Corte costituzionaie, il principio secondo cui è ben possibile che la medesima sentenza formi oggetto nello stesso tempo sia d’un ricorso per correzione di errore materiale, sia d’un ricorso per cassazione, era del tutto pacifico, consoiidato e risalente nella giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza “capostipite” rappresentata da Sez. 1, Sentenza n. 2694 del 25/07/1968.

7.4. E‘ doveroso aggiungere, per completezza, che non è consentito a questa Corte procedere alla conversione del ricorso per cassazione proposto dall’avv. S.A. in un ricorso per correzione di errore materiale, ex art. 287 c.p.c., applicare i principi in tema di rimessione in termini per decadenza dovuta ad errore scusabiie, consistito nell’aver fatto affidamento su orientamenti giurisprudenziali in materia processuale, imprevedibilmente mutati al momento della decisione.

Infatti – ed anche questo è un principio del tutto pacifico – alla Corte di cassazione non si potrebbe comunque mai domandare di correggere l’errore materiale contenuto in una sentenza di merito: sia perché tale competenza è funzionale ed è riservata al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 287 c.p.c.), sia perché giammai potrebbe il giudice di legittimità esaminare il merito e procedere alle correzioni richieste (come ritenuto, tra le altre, da Sez. L, Sentenza n. 9968 del 12/05/2005; Sez. 1, Sentenza n. 7301 del 07/04/2005; Sez. 5, Sentenza n. 12004 del 22/05/2006).

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9.3. L’art. 75 disp. att. c.p.c., impone al difensore, al momento del passaggio in decisione della causa, di “unire al fascicolo di parte la nota delle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, con riferimento all’articolo della tariffa dal quale si desume ciascuna partita”.

La nota delle spese di cui all’art. 75 c.p.c., non è vincolante per il giudice, il quale, nel condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese in favore di quella vittoriosa (art. 91 c.p.c., comma 1), può tuttavia escludere la ripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue (art. 92 c.p.c., comma 1). 9.4. Le previsioni del codice di rito appena ricordate vanno integrate con quanto disposto dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 60, (convertito, con modificazioni, in L. 22 gennaio 1934, n. 36), recante l‘ordinamento della professione di avvocato (applicabile ratione temporis al presente giudizio, ai sensi del D.Lgs. 1 dicembre 2009, n. 179, art. 1, comma 1, il quale ha sancito la permanenza in vigore perché “indispensabile” del suddetto provvedimento). Il R.D.L. n. 1578 ciel 1933, art. 60, comma 4, stabilisce ‘che l’autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione delle spese entro i limiti del massimo e del minimo stabiliti col decreto ministeriale di fissazione delle tariffe forensi.

Il successivo comma quinto, infine, consente al giudice di liquidare importi superiori al massimo od inferiori al minimo tariffario: nel primo caso, “quando il pregio intrinseco dell’opera lo giustifichi”;

nel secondo caso, “quando la causa risulti di faciie trattazione”. La riduzione, tuttavia, non può essere inferiore alla metà (L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 4). Nell’una, come nell’altra ipotesi, la legge soggiunge che “la decisione del giudice deve essere motivata”.

9.5. Dai blocco normativo appena riassunto discendono i seguenti corollari:

(a) quando il giudice liquida le spese secondo gli importi risultanti dalla notula ritualmente depositata, non è tenuto a particolari oneri di motivazione, salvo che la congruità di essa non sia stata specificamente contestata;

(b) quando, invece, il giudice ritiene di dovere avvalersi della facoltà di cui all’art. 92 c.p.c., comma 1, (e cioè escludere la ripetizione delle spese eccessive o superflue) ha l’onere di indicare:

(bi) quali spese abbia inteso ridurre od escludere;

(b2) quali ragîonl le rendano eccessive o superflue (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 18906 del 08/08/2013; Sez. 6-2, Ordinanza n. 7293 del 30/03/2011; Sez. L, Sentenza n. 4404 del 24/02/2009; Sez. 3, Sentenza n. 2748 del 08/02/2007; Sez. 5, Sentenza n. 13085 dei 01/06/2006; Sez. L, Sentenza n. 11483 del 01/08/2002; Sez. 2, Sentenza n. 8160 del 15/06/2001; Sez. 1, Sentenza n. 6816 del 02/07/1999, e via risalendo sino alla sentenza “capostipite”, rappresentata da Sez. 3, Sentenza n. 196 del 10/01/1966; vale la pena aggiungere che la contraria opinione, espressa isolatamente da Sez. 3, Sentenza n. 2234? del 24/10/2007, deve ritenersi superata dalia giurisprudenza successiva e comunque non convincente, soprattutto perché nella motivazione di quella sentenza la tesi qui rifiutata venne formulata senza il sostegno di alcuna motivazione);

(c) analogamente, il giudice avrà l’obbligo di motivare la propria decisione – ed in questo caso per espressa previsione di iegge F quando ritenga di liquidare gii onorari in misura superiore al massimo od inferiore ai minimo (Sez. L, Sentenza n. 564 dei 12/01/2011; Sez. L, Sentenza n. 27804 del 21/11/2008).

9.6. Nel caso di specie, la Corte d’appello non ha motivato in alcun modo la propria decisione di riduzione delle spese di soccombenza rispetto a queile demandate con i’appellante nella propria notula. Tale statuizione del giudice di merito è evidentemente irrispettosa dei principi elencati al 9.5: in particolare di quello secondo cui il dissenso del giudice delle somme richieste con la notula o la liquidazione di importi inferiori ai minimo tariffario dev’essere espressamente motivata.

9.7. Rilevato il difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, si pone a questa Corte il delicato problema di stabilire se tale vizio imponga ipso iure la cassazione con rinvio della sentenza impugnata senza aìcun’altra considerazione, ovvero se non sia possibile in questa sede di legittimità verificare comunque la congruità delle spese liquidate dal giudice d’appello, onde limitarsi a correggerne la motivazione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

Ritiene questa Corte che a soluzione corretta sia la seconda.

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Da associazionenazionaleavvocatiitaliani.it