Cassazione civile , sez. III, sentenza del 03/04/2014 n. 7768
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MOTIVI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c. e dichiarata l’inammissibilità del secondo ricorso incidentale (proposto unitamente al controricorso), di contenuto identico a quello separatamente spiegato sub R.G. n. 21897/2010, e pertanto proposto in violazione del principio di consumazione dell’impugnazione, in base al quale la parte che abbia già proposto ricorso per cassazione può proporne un altro, in pendenza del termine per impugnare, solo quando il primo ricorso sia viziato ed il successivo miri a sostituirlo (cfr. Cass., Sez. Un., 22/4/2013, n. 2688; Cass., 12/4/2011, n. 8306; Cass., 26/9/2005, n. 18756).
Con il 1^ motivo la ricorrente in via principale denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. “e dei connessi principi del ne bis in idem e del divieto di duplicazione risarcitoria”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Lamenta che la corte di merito, “decidendo su una controversia di cosiddetta mala gestio propria che era stata promossa dall’assicurato nei confronti dell’assicuratore con espresso riferimento a precedente azione di risarcimento danni promossa dal danneggiato da incidente stradale sia contro l’assicurato che contro l’assicuratore e richiamando le sentenze, passate in giudicato, rese in quel giudizio tra le stesse parti – che avevano tra l’altro accertato una mala gestio dell’assicuratore nei confronti del danneggiato, pronunciando la condanna dell’assicuratore stesso al pagamento in favore del danneggiato oltrechè del massimale anche della rivalutazione e degli interessi sul massimale stesso -, ha palesemente violato il disposto dell’art. 2909 c.c. ed il conseguente principio fondamentale del ne bis in idem, nonchè quello relativo al divieto di duplicazioni risarcitorie”.
Si duole che la corte di merito non abbia “considerato che il giudicato esterno formatosi nell’anzidetto giudizio promosso dal danneggiato nei confronti del P. e dell’assicuratore con la sentenza n. 1004/2000 resa dal Tribunale di Trento sostanzialmente confermata dalla sentenza n. 433/2002 resa dalla Corte di Appello di Trento (sul capo riguardante la mala gestio dell’assicuratore e la conseguente condanna del medesimo al pagamento diretto in favore del danneggiato C., oltrechè del residuo massimale assicurato anche della rivalutazione del massimale stesso e degli interessi, totalmente adempiuto dalla Soc. Cattolica) -, si poneva come preclusivo sia pure riguardando una fattispecie di c.d. mala gestio impropria, dal momento che l’accertamento in quel giudizio della mala gestio dell’assicuratore aveva già infatti comportato, quale conseguenza, l’anzidetta condanna solidale dell’assicuratore stesso con il P., in favore del danneggiato C., oltrechè al pagamento dell’intero residuo massimale di Lire seicento milioni, anche al pagamento delle somme dovute per la rivalutazione del massimale e per interessi”. E che tale condanna “rappresenta una illegittima duplicazione in favore del P. del medesimo risarcimento già riconosciuto in favore del danneggiato C., posto a carico solidale del P. e della Soc. Cattolica ed interamente soddisfatto dall’assicuratore”, giacchè non può “essere comminata per la stessa causale – rappresentata dal ritardo nel pagamento del massimale -, una duplice condanna sempre per interessi e rivalutazione del massimale: una volta in favore del danneggiato ed una seconda volta, sia pure in maniera inferiore rispetto alla prima, in favore dell’assicurato”.
Lamenta non avere la corte di merito considerato che essa aveva già “integralmente soddisfatto” il proprio debito “anche in favore del coobbligato solidale P.”, come “risultante dalla specifica contenuta nell’atto di precetto in calce alla notificata sentenza del Tribunale di Trento n. 1004/2000, depositato dal P. nel giudizio di primo grado dinanzi al Tribunale di Verona a sostegno della sua domanda di mala gestio (doc. 16 di parte attrice)… con conseguente estinzione a quella data del 30/11/2000 di ogni obbligazione solidalmente a carico del P. per tale causale – interessi e rivalutazione derivati dal ritardato pagamento del massimale assicurato”.
Con il 2 complesso motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa motivazione” su punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che la corte di merito non abbia “esaminato minimamente” l’eccezione relativa all’impossibilità di superamento del massimale, erroneamente ritenendola inammissibile in quanto proposta per la prima volta in grado d’appello, essendo essa rimasta contumace in primo grado, e che non si sia “resa conto” che essa “concretizzava in sostanza una eccezione di ne bis in idem, per precedente giudicato esterno”.
Lamenta che “tale decisione di inammissibilità è stata assunta con insufficiente ed errata motivazione, senza che la Corte Territoriale abbia preso in considerazione le ricordate depositate sentenze n. 1004/2000 del Tribunale di Trento e n. 433/2002 della Corte di Appello di Trento pacificamente rese tra le stesse parti”.
Con il 1, il 2 e il 3 motivo la ricorrente in via incidentale denunzia omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Lamenta l’erroneità dell’impugnata sentenza, non potendo “essere negato che detti interessi e rivalutazione monetaria potranno essere calcolati soltanto sino alla data in cui il massimale viene effettivamente reso disponibile e liquidato (30.11.2000) dall’assicuratore”, essendo “evidente che oltre tale data viene meno qualsivoglia ulteriore danno causato dall’omissiva/inadempiente condotta della compagnia”.
Si duole che la corte di merito abbia “totalmente ignorato le difese della Firs in l.c.a. contenute in atti ove si è puntualmente dedotto l’avvenuto pagamento ad opera di Cattolica Assicurazioni (per Firs in l.c.a.) di un importo… ampiamente superiore al massimale di polizza e comunque satisfattivo di ogni pretesa azionabile a titolo di mala gestio; in altre parole nella sentenza della Corte non è dato reperire alcuna argomentazione dalla quale possa dedursi che il Collegio, nel procedere alla liquidazione del danno preteso dal P., abbia in qualche modo tenuto in considerazione l’entità dell’esborso già effettuato dalle Compagnie”.
Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che “pur a fronte della responsabilità della Firs in l.c.a. sia nei confronti del danneggiato, per mala gestio impropria, sia nei confronti del danneggiato/assicurato, per mala gestio propria, la compagnia non può essere condannata due volte, l’una nei confronti del primo, l’altra nei confronti del secondo, alla rifusione degli interessi e della rivalutazione monetaria maturati sulla somma (lire 600 milioni) di cui al (residuo) massimale di polizza”; “essendo già stato il massimale di polizza con la sentenza del Tribunale di Trento n. 104/2007 recte: n. 1004/2000 (confermata sotto tale aspetto dalla sentenza della Corte di Appello di Trento n. 433/2002) maggiorato per interessi e rivalutazione monetaria ed essendo già state la Firs in LCA e la Società Cattolica Assicurazioni condannate a versare il relativo importo direttamente al danneggiato C., le medesime Compagnie non possono essere, con altra sentenza (quella impugnata) condannate a pagare il medesimo importo una seconda volta a favore del danneggiante”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato che il 2 motivo del ricorso principale reca un quesito di diritto formulato in termini invero difformi dallo schema al riguardo delineato da questa Corte, non recando la riassuntiva ma puntuale indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, a tale stregua appalesandosi astratto e generico, privo di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività, tale cioè da non consentire, in base alla sua sola lettura (v.Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519;Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 7 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645; Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr. Cass., 23/6/2008, n. 17064), risolvendosi in buona sostanza in una richiesta a questa Corte di vaglio della fondatezza delle proprie tesi difensive, come risulta sintomaticamente confermato dal rilievo che il quesito è riferito alla dedotta violazione dell’art. 345 c.p.c., laddove la ricorrente medesima finisce per essenzialmente lamentare, come detto, che la “Corte territoriale all’evidenza non si è resa conto che la sollevata questione concretizzava in sostanza una eccezione di ne bis in idem, per precedente giudicato esterno tra le stesse parti derivante dalla sentenza n. 1004/2000 del Tribunale di Trento”.
Quanto al ricorso incidentale, va osservato che là dove lamenta, come sopra riportato, l’asseritamente erronea considerazione della decorrenza di interessi e rivalutazione monetaria, nonchè di avere già versato un importo ampiamente superiore al massimale di polizza e comunque satisfattivo di ogni pretesa azionabile a titolo di mala gestio, e, ancora, l’erronea condanna alla liquidazione per “due volte” alla “rifusione, degli interessi e della rivalutazione monetaria maturati sulla somma (lire 600 milioni) di cui al (residuo) massimale di polizza”, la ricorrente in realtà propone denunzia non già di vizio di motivazione bensì di violazione di norme di diritto, senza che risultino al riguardo formulati i prescritti quesiti di diritto, tali non potendo invero considerarsi i momenti di sintesi posti a conclusione dei motivi, non formulati secondo lo schema del quesito di diritto delineato da questa Corte.
La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che (come il momento di sintesi) il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione.
Quanto al merito, va osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’ingiustificato ritardo dell’assicuratore della r.c.a. nell’adempimento delle proprie obbligazioni nei confronti del danneggiato lo espone a due diversi tipi di responsabilità.
Da un canto, alla responsabilità da c.d. mala gestio impropria, che attiene al rapporto diretto tra assicuratore e danneggiato e trova fondamento nel comportamento ingiustificatamente dilatorio mantenuto dall’assicuratore in ordine alla prestazione risarcitoria in favore del danneggiato, comportante l’obbligo per il primo di pagare gli interessi ed, eventualmente, il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, anche in eccedenza rispetto al massimale (v., da ultimo, Cass., 28/6/2010, n. 15397).
Per altro verso, alla responsabilità da c.d. mala gestio propria, relativa al rapporto tra assicuratore e assicurato/danneggiante, che si configura in ragione del (rifiuto senza giustificato motivo o) del colposo ritardo nel soddisfacimento del credito del danneggiato da parte dell’assicuratore (avuto riferimento al momento in cui l’assicuratore è stato posto in grado di valutare, usando l’ordinaria diligenza, la fondatezza della richiesta risarcitoria del danneggiato ed ha tuttavia omesso, in violazione dell’obbligo di correttezza o buona fede nell’adempimento del contratto di assicurazione, di mettere il massimale – o la relativa parte sufficiente a risarcire il danno – a disposizione del danneggiato ovvero di concludere con il medesimo favorevoli accordi transattivi: cfr., da ultimo, Cass., 18/1/2011, n. 1083), con conseguente obbligo per l’assicuratore di tenere indenne l’assicurato, anche in misura eccedente il massimale, dell’importo pari alla differenza tra quanto il responsabile avrebbe dovuto pagare al danneggiato se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto le proprie obbligazioni e quanto è invece costretto a versare in conseguenza del ritardato adempimento (v., da ultimo, Cass., 28/6/2010, n. 15397).
In altri termini, nell’ambito del rapporto contrattuale l’assicuratore deve tenere indenne l’assicurato di quanto il medesimo è tenuto a direttamente corrispondere al danneggiato in eccedenza rispetto al massimale tardivamente (oltre il termine previsto alla L. n. 990 del 1969, art. 22 e ora al D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 145) versato (cfr. Cass., 18/1/2011, n. 1083), e cioè rispetto all’ammontare che sarebbe stato obbligato a corrispondere se l’assicuratore si fosse comportato in buona fede nella gestione del rapporto contrattuale assicurativo, non trascurando di attivarsi tempestivamente per il pagamento del dovuto (v. Cass., 19/7/2005, n. 15213).
Emerge evidente, a tale stregua, come la domanda di c.d. mala gestio “impropria”, ipotesi di responsabilità extracontrattuale fondata sulla mora ex art. 1224 c.c., e quella di c.d. mala gestio “propria”, ipotesi di responsabilità contrattuale fondata sulla violazione della regola di buona fede o correttezza (che come questa Corte ha avuto modo di precisare è configurabile non solo nel caso in cui l’assicuratore, avvalendosi del patto di gestione della lite, la gestisca in modo da arrecare pregiudizio all’assicurato, ma anche nell’ipotesi in cui rifiuti, senza apprezzabile motivo, di gestire la lite e se ne disinteressi in modo da recare pregiudizio allo stesso assicurato, in tale seconda ipotesi all’obbligazione nei confronti del danneggiato potendo aggiungersi, sempre a carico dell’assicuratore, un’ulteriore e diversa obbligazione nei confronti del danneggiante-assicurato, sul quale sia in definitiva venuto a gravare l’onere economico del danno provocato dal colpevole ritardo con cui è stato corrisposto l’indennizzo al danneggiato: v. Cass., 19/7/2005, n. 15213), hanno in realtà diversa causa petendi (cfr., da ultimo, Cass., 20/4/2011, n. 9043).
Ne consegue che allorquando come nella specie vengano azionati due diversi crediti (cfr. Cass., 20/4/2011, n. 9043; Cass., 19/7/2005, n. 15222; Cass., 30/7/2004, n. 14593), non è invero invocabile l’autorità del giudicato sostanziale, che opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto ci sia identità di soggetti, di petitum e di causa petendi (cfr. Cass., 10/6/2005, n. 12271; Cass., 27/8/2002, n. 12564; Cass., 9/2/1987, n. 1382).
Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha dei suindicati principi fatto invero sostanzialmente corretta applicazione.
In particolare là dove, dopo aver premesso che “la responsabilità per mala gestio dell’assicuratore della responsabilità civile è configurabile quando l’assicuratore ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l’esistenza della responsabilità dell’assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato nei limiti del massimale di polizza”; e nel porre in rilievo come si sia nelle specie “trattato di incidente… le cui modalità avrebbero dovuto rendere subito evidente una responsabilità almeno del tutto prevalente dell’automobilista”, essa è pervenuta ad affermare che “l’impresa designata, secondo criteri di diligenza e buona fede e vista la probabile conclusione della causa, in adempimento degli obblighi previsti dall’art. 1917 c.c. verso l’assicurato (o il conducente, anch’esso beneficiario della copertura assicurativa) avrebbe dovuto mettere a disposizione del danneggiato l’intero massimale, o tentare di raggiungere con lo stesso una transazione per la definizione del danno”.
Ancora, nella parte in cui, sottolineando che “l’omissione di alcuna di tali condotte ha configurato per la Cattolica una violazione di tale obbligo, e fatto sorgere la conseguente sua responsabilità nei confronti dell’appellante per il maggior esborso che ha dovuto sostenere onde risarcire i danni risultati ultramassimale”, essa è addivenuta a concludere per la sussistenza nel caso della “responsabilità dell’impresa designata per la dedotta mala gestio ed il diritto dell’appellante al risarcimento del relativo danno, costituito dal maggiore importo che è stato posto a suo esclusivo carico per i danni liquidati in favore del C.”.
Non può d’altro canto sottacersi che allorquando come nella specie trattisi di diritti eterodeterminati (per l’individuazione dei quali è cioè necessario fare riferimento ai fatti costitutivi della pretesa che identificano diverse causae petendi), non potendo ritenersi che il giudicato si estenda sempre e comunque all’intero rapporto giuridico (ivi comprese le questioni di cui il primo giudice non abbia avuto bisogno di occuparsi per pervenire alla pronunzia) in virtù del principio secondo cui esso copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Cass., 16/5/2006, n. 11356), si rende invero necessario accertare le ragioni concretamente poste a base della domanda e divenute oggetto di discussione, giacchè il giudicato non si forma (anche) sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di accertamento effettivo, specifico e concreto (cfr. Cass., 10/10/2007, n. 21266), sicchè è indefettibilmente necessario consentire al giudice siffatta disamina.
Orbene, atteso che il giudicato esterno (il quale è rilevabile d’ufficio) può far stato nel processo solamente laddove vi è certezza in ordine alla relativa formazione, emerge evidente come risulti imprescindibile che colui il quale ne invoca l’autorità (v.
Cass., 19/9/2013, n. 21469; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 2/4/2008, n. 8478; Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., Sez. Un., 16/6/2006, n. 13916) fornisca la prova al riguardo, mediante la produzione della sentenza munita dell’attestazione di cancelleria ex art. 124 disp. att. c.p.c. in ordine all’intervenuto relativo passaggio in giudicato (v. Cass., 8/5/2009, n. 10623; Cass., 24/11/2008, n. 27881; Cass., 2/4/2008, n. 8478; Cass., 22/5/2007, n. 11889; Cass., 3/11/2006, n. 23567. Da ultimo v., Cass., 19/9/2013, n. 21469, ove si è esclusa la sufficienza al riguardo del deposito della sola certificazione di cancelleria attestante il passaggio in giudicato della sentenza, inidonea a dare certezza in ordine al contenuto del provvedimento).
Orbene, nella specie la ricorrente non ha osservato i suindicati principi, essendosi invero limitata ad apoditticamente invocare il giudicato esterno asseritamente formatosi nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti del P. e dell’assicuratore con la sentenza Trib. Trento n. 1004/2000 – sostanzialmente confermata dalla sentenza App. Trento n. 433/2002 (sul capo riguardante la mala gestio dell’assicuratore e la conseguente condanna dell’assicuratore stesso al pagamento diretto in favore del danneggiato C., oltrechè del residuo massimale assicurato anche della rivalutazione del massimale stesso e degli interessi, totalmente adempiuto dalla Soc. Cattolica) -, senza invero nemmeno indicare nel ricorso (in violazione pertanto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) se essa fosse o meno munita dell’attestazione de qua nè debitamente fornire indicazioni idonee a consentire la relativa individuazione, con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione come pervenuta presso questa Corte, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità.
Rimane a tale stregua conseguentemente priva di rilievo la questione, dalla ricorrente invero nemmeno correttamente sollevata, se il superamento del massimale costituisce eccezione in senso proprio, e pertanto improponibile per la prima volta in grado di appello (cfr.
Cass., 14/6/2006, n. 13754), ovvero mera difesa, sulla quale il giudice ha l’obbligo di pronunciare ex officio anche quando la parte sia rimasta contumace in primo grado, senza che sia possibile invocare il divieto dei nova in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (nel testo vigente applicabile alle cause iniziate dopo il 30 aprile 1995), dalla ricorrente invero dedotta al fine di far valere l’autorità di un giudicato esterno come detto inammissibilmente evocato.
All’inammissibilità e infondatezza dei ricorsi principale e 1 ricorso incidentale (sub R.G. n. 21897/2010) consegue il relativo rigetto.
Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il 2 ricorso incidentale. Rigetta il ricorso principale e il 1 ricorso incidentale (sub R.G. n. n. 21897/2010). Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2014