Breve commento a:
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 4 novembre 2014, n. 23448
La sentenza in oggetto chiarisce numerosi aspetti della responsabilità extracontrattuale del preponente (una compagnia assicurativa) nei confronti del terzo contraente per il fatto dell’agente che, nei contratti di agenzia (e subagenzia), agisce oltre i limiti del mandato.
La Corte, anzitutto, ricorda che già da tempo la giurisprudenza di legittimità ha “ammesso l’applicabilità dell’articolo 2049 c.c., anche in materia di assicurazione (tra le meno recenti: Cass. 19 dicembre 1995, n. 12945; 27 giugno 1984, n. 3776), essendo irrilevante che sussista o meno un rapporto di lavoro subordinato tra agente e preponente (Cass. 21 giugno 1999, n. 6233; Cass. 17 maggio 1999, n. 4790; Cass. 3 aprile 2000, n. 4005)”. E precisa che:“sussiste la responsabilità ex articolo 2049 c.c., dell’assicuratrice per il fatto lesivo causato dall’attività illecita posta in essere dall’agente, ancorché privo del potere di rappresentanza, il quale sia stato determinato, agevolato o reso possibile dalle incombenze demandategli e su cui la medesima aveva la possibilità di esercitare poteri di direttiva e di vigilanza (Cass. 22 giugno 2007, n. 14578; nello stesso senso: Cass. 11 febbraio 2010, n. 3095; Cass. 27 giugno 2011, n. 14086); sussiste inoltre la responsabilità del padrone o committente pure se l’agente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni od agito all’insaputa del datore di lavoro o del preponente (Cass. 6 marzo 2008, n. 6033), sempre che sia rimasto comunque nell’ambito dell’incarico affidatogli (Cass. 4 aprile 2013, n. 8210)”. In particolare:”la responsabilità del preponente ex articolo 2049 c.c., sorge per il solo fatto dell’inserimento dell’agente cioè di colui che ha posto in essere la condotta dannosa nell’impresa, senza che assumano rilievo ne’ la continuità dell’incarico affidatogli, né l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: basta che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall’imprenditore e che il commesso abbia svolto la sua attività sotto il controllo del primo atteso che il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, ancorché non alle sue dipendenze, risponde anche dei fatti dolosi o colposi dei medesimi” (sul punto cfr. anche Cass. Civ. n. 7634 del 2012). Pertanto ai fini dell’applicabilità della norma di cui all’articolo 2049 c.c. è sufficiente “un rapporto di occasionalità necessaria, nel senso che l’incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso, anche se il dipendente (o, comunque il collaboratore dell’imprenditore) abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, purche’ sempre nell’ambito dell’incarico affidatogli, così da non configurare una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro”.
Nel caso concreto, quindi, va verificato se sussiste il rapporto di “occasionalità necessaria” ovvero se la stipulazione del contratto assicurativo, per usare le parole della S.C., non configura “una condotta del tutto estranea al rapporto di lavoro” che l’agente svolgeva per conto della compagnia. Certamente l’attività svolta continuativamente dall’agente da anni all’interno dell’agenzia determina “una situazione tale da agevolare o rendere possibile il fatto illecito e l’evento dannoso” anche se ha operato “oltre i limiti delle sue incombenze”(v. punto 3.2 della sent. 23448/14).
Pertanto il preponente, la cui responsabilità ex art. 2049 cod. civ. prescinde da ogni elemento soggettivo in capo al medesimo, “non risponderebbe dei danni delle attività del suo agente solo se queste ultime fossero del tutto estranee ad ogni anche minima incombenza di lui”, ma estranee “non possono definirsi in astratto le fasi di negoziazione di polizze vita da parte di persona pacificamente da tempo nota su piazza” (c.f.r. punto 4.2. della sent. 23448/14).
Inoltre va evidenziato che la responsabilità del preponente può sussistere anche su diversa base, ovvero in applicazione del principio di apparenza del diritto che tutela colui che abbia confidato senza sua colpa nella situazione apparente, generata dal soggetto che, con il suo comportamento, ha dato causa all’apparente legittimazione del falsus procurator. In tal caso, il contratto concluso da quest’ultimo con il terzo vincolerà il rappresentato.
Tale principio è applicabile anche nei contratti per i quali sia richiesta la forma scritta ad probationem (sul punto si sono espresse, seppur incidenter tantum, anche le SS.UU. della S.C. con le sentenze nn. 22910/2006, 5035/2002 e 3083/1972) e anche in tutti quei casi in cui il contratto tra terzo e agente non corrisponda al concreto e effettivo ambito dei poteri rappresentativi in capo a quest’ultimo, purché sussistano due condizioni: la buona fede del terzo e la colpa del preponente apparente, idonea a ingenerarne l’affidamento.
La buona fede del contraente, ovvero di colui che sottoscrive la polizza assicurativa, può essere rinvenuta nel fatto che l’Agente sia conosciuto come agente assicurativo, che operi per conto di una o più compagnie assicurative, che abbia un organizzazione stabile, che si avvalga di collaboratori, che svolga il suo lavoro all’interno di un locale in cui sono esposti l’insegna, loghi, marchi, brochure, manifesti e materiale informativo della compagnia, che sia stabilmente inserito nell’organizzazione di quest’ultima ed utilizzi timbri e moduli prestampati della società. Secondo la S.C., la circostanza che la condotta lesiva dell’Agente sia stata resa possibile o comunque agevolata proprio dal suo inserimento stabile nell’organizzazione dell’impresa sua preponente comporta, l’irrilevanza del grado di credulità del danneggiato-cliente dell’agenzia (c.f.r.. punto 4.1. della sent. 23448/14).
Con riferimento alla prova della colpa del preponente apparente, idonea a ingenerare l’affidamento in relazione al fatto illecito del falsus procurator, si può affermare che essa si presuma. Infatti, “qualora l’agente abbia posto in essere condotte esulanti dalla sua sfera di poteri, sarà sempre la preponente a dovere dimostrare, per andare esente da responsabilità, analiticamente – se non l’ingiustificabilità della buona fede del terzo, almeno e soprattutto – la carenza di sue proprie colpe, che non si esauriscano nella predisposizione di controlli contabili od ispettivi, rivelatisi poi inefficaci, perché intrinsecamente inidonei a prevenire le callide condotte dei suoi stessi collaboratori od agenti” (c.f.r. punto 4.1. della sent. 23448/14).
La giurisprudenza sul punto è univoca ed ha più volte espresso i principi sopra esposti in ordine alla sussistenza della responsabilità del preponente a tutela del legittimo affidamento del terzo (ex multis, di recente, Corte Di Cassazione, Sez. II Civile, sentenza 6 dicembre 2013, n. 27409 la quale ha stabilito che il principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quello, più generale, della tutela dell’affidamento incolpevole, può essere invocato con riguardo alla rappresentanza allorché, indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell’art. 1393 c.c. sussista la buona fede del terzo che ha concluso atti con il falso rappresentante e ci si trovi in presenza di un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente).
Pare utile concludere con le parole della sentenza in oggetto che, a tutela del terzo contraente, sancisce la responsabilità extracontrattuale dell’impresa preponente per il fatto del rappresentante senza poteri:
“- l’impresa ne risponde ai sensi dell’articolo 2049 c.c., se le modalita’ delle condotte rientrino comunque, anche in senso lato, nelle incombenze dell’agente;
– in caso contrario, essa ne risponde, in applicazione del principio dell’apparenza del diritto all’elemento dell’occasionante necessaria nel paradigma normativo detto, in caso di buona fede incolpevole dei terzi e di mancata dimostrazione dell’adozione delle misure ragionevolmente idonee, in rapporto alle peculiarita’ del caso concreto, a prevenire le condotte devianti degli agenti”.
Avv. Mario Carcaterra
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