Parere: se la parte civile non propone appello alla sentenza penale si forma il giudicato?

Un collega salentino, dopo aver letto un mio scritto sulla pregiudizialità penale nel processo civile, mi ha richiesto un parere. Ho provato a rispondere, pur essendo il parere al fuori del mio ambito di civilista.

Gentile avv. Mario Carcaterra,
ho letto con attenzione il Suo scritto fornitomi da persona autrevole nell’amito della Magistratura, avente ad oggetto “azione civile nel processo penale etc-“
La Sua competenza in materia mi sollecita a chiederLe, come già riferito nella nostra conversazione telefonica, il seguente quesito :
dinanzi al Tribunale Penale si è svolto il processo penale di cui Le rimetto sentenza.
C’ è la costituzione di varie parti civili.
Su eccezione da me sollevata, il Giudice ha rigettato le domande civili motivando secondo quanto riportato nella motivazione (pag. 1) (ndr. rigetto nel merito per assenza di prova della legittimazione ad agire)
Intanto, solo l’imputato ha proposto appello, mentre le parti civili nulla hanno fatto.
Alcune di esse hanno iniziato il giudizio civile dinanzi al Tribunale Civile chiedendo il risarcimento del danno derivatogli dalla morte del loro congiunto.
Io ritengo che la pretesa civilistica, rigettata dal giudice penale, non può più essere oggetto di giudizio in quanto sul punto si è formato il giudicato.
Secondo il Suo autorevole parere, sono nel giusto ?
Attendo Sua cortese risposta nei modi e termini che riterrà opportuni.
Grazie e resto a Sua disposizione

Con riferimento al quesito che mi sottopone Le risponderei, di getto, che, essendosi formato il giudicato su una statuizione di merito, la domanda non può essere proposta una seconda volta innanzi al Tribunale Civile.

Tuttavia Lei mi richiede una più approfondita analisi.

Orbene la S.C. a Sezioni Unite, nel 2011, ha stabilito che: “Il legislatore, dunque, con il codice di procedura del 1988 ha introdotto il diverso principio della (pressochè) completa autonomia e separazione fra giudizio civile e giudizio penale, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall’art. 75 c.p.p., comma 3, da un lato, il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall’altro, il giudice civile deve procedere ad un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità civile dedotti in giudizio.

Del resto, il “principio della reciproca indipendenza dell’azione penale e di quella civile” a cui è ispirato il nuovo codice di procedura, vige anche nell’ambito dello stesso processo penale, ove, qualora una sentenza di assoluzione dell’imputato venga impugnata dalla sola parte civile può aversi un giudicato di assoluzione agli effetti penali ed una decisione di condanna agli effetti civili.

Questo nuovo principio generale è peraltro attenuato dal riconoscimento al giudicato penale di valore preclusivo negli altri giudizi in specifiche limitate ipotesi, e precisamente in quelle disciplinate dall’art. 651 c.p.p., con riferimento al giudicato di condanna e dall’art. 652 c.p.p., con riferimento al giudicato di assoluzione nei giudizi civili ed amministrativi di danno, dall’art. 653 c.p.p., con riferimento al giudizio disciplinare e dall’art. 654 c.p.p., con riferimento al giudicato assolutorio o di condanna negli “altri” (diversi da quelli precedenti) giudizi civili ed amministrativi.

Tutte queste disposizioni sottostanno al limite costituzionale, ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale e fatto proprio dalla Legge Delega, del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio e, costituendo un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi, sono soggette ad un’interpretazione restrittiva e non possono essere applicate per via di analogia oltre i casi espressamente previsti. “ (Cass 1768/2011).

Sennonché, a ben vedere, il capo della sentenza che ci occupa non è né una statuizione di condanna né di assoluzione ma è relativa esclusivamente al merito dell’azione civile.

Va, quindi, esaminato l’art. 576 cpp, comma I:” La parte civile può proporre impugnazione, contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio…”.

E’ il nostro caso: una sentenza di condanna dell’imputato tuttavia sfavorevole alla parte civile. La parte civile, quindi, avrebbe potuto proporre appello.

Ma cosa accade nel caso di mancata proposizione dell’appello? Il giudicato si estende all’azione civile o, in virtù del principio di indipendenza citato, il danneggiato può agire davanti al magistrato civile incurante del giudicato penale? Si ritorna al problema di partenza.

Purtroppo sembra non esserci giurisprudenza sul punto.

A mio avviso si potrebbe giungere ad una conclusione partendo dalla sentenza delle S.U. che affermano:”il principio della reciproca indipendenza dell’azione penale e di quella civile” a cui è ispirato il nuovo codice di procedura, vige anche nell’ambito dello stesso processo penale, ove, qualora una sentenza di assoluzione dell’imputato venga impugnata dalla sola parte civile può aversi un giudicato di assoluzione agli effetti penali ed una decisione di condanna agli effetti civili”.

Quindi, se è vero che “qualora una sentenza di assoluzione dell’imputato venga impugnata dalla sola parte civile può aversi un giudicato di assoluzione agli effetti penali ed una decisione di condanna agli effetti civili”, ragionando a contrario si potrà affermare che, la sentenza di condanna dell’imputato, impugnata solo da quest’ultimo, determinerà, da un lato, la prosecuzione del giudizio penale (che terminerà con la condanna o l’assoluzione dell’imputato in sede di Appello o Cassazione) e, dall’altro, un giudicato di rigetto della domanda agli effetti civili.

Con riferimento allo specifico caso che mi viene sottoposto, la S.C. ha anche affermato che la pronuncia di rigetto della domanda per difetto della legittimazione ad agire (che va intesa come rigetto per mancanza della titolarità del rapporto giuridico dedotto in giudizio, ossia per inesistenza del diritto, per essere di un terzo il diritto fatto valere) è una statuizione di merito e non di rito, idonea a passare in cosa giudicata formale e sostanziale, preclusiva della possibilità di riproporre la stessa domanda in altro giudizio. In tal senso Cass. Civ. 22 aprile 2009, n. 9558.

Per tutto quanto esposto, a mio modesto avviso, la domanda non può essere riproposta innanzi al Giudice Civile.